domenica 22 marzo 2020


Caro Leonardo
non credo di poterle esprimere opinioni che non siano già ovvie. Io ho seguito con apprensione l'avvio del virus fin dal 31 dicembre, perché da anni - bastava leggere i libri degli epidemiologi - si sapeva che qualcosa del genere - che ha un suo ciclo nella storia del pianeta - sarebbe prima o poi arrivato. La globalizzazione economica e il modello di sviluppo occidentale hanno promosso e favorito il fenomeno. Gli antiallarmisti, poi - untori a favore dei potentati economici - hanno fatto il resto. Trovando un terreno fertile in Paesi ormai dediti all'aperitivizzazione della vita da anni - come l'Italia e, poi, la Spagna. Il caso cinese dovrebbe indurci ad un minimo di ottimismo. Però a prezzi che fino ad ora noi non siamo stati disposti a pagare: Umberto Eco ha scritto L'elogio di Franti non quello di Enrico Bottini. In Cina Franti sarebbe già stato "corretto" da tempo.
L'ottimismo può solo venirci dalla considerazione dei tempi. Se loro se la sono cavata discretamente in due mesi, da noi ne occorreranno almeno quattro. Nel frattempo possiamo contare sia sul miglioramento delle cure (il tocilizumab e altri medicinali contro l'artrite reumatoide, probabilmente, funzionano meglio dei cosiddetti "antivirali"; gli antibiotici potranno essere usati con miglior cognizione di causa) e sia sulla preparazione di un vaccino. Tuttavia, il pericolo costituito da questo virus rimarrà a lungo e mieterà la vita di molte persone dal sistema immunitario più debole. Troppi sono i costituenti del nostro modello di sviluppo da cambiare: pensi all'inquinamento delle grandi città ed alla funzione favorevole al virus svolta dal PM10 - traffico automobilistico, mezzi di riscaldamento, spostamenti di massa, turismo (quando, almeno trent'anni fa, mettevo in guardia dall'ideologia turistica la gente rideva - e temo che, tra qualche mese, tornata di riffe o di raffe una relativa normalità, riderà ancora).
Come scrivevo nei giorni scorsi in qualche disperato "messaggio in bottiglia" (metafora ormai inadeguata per eccesso di ottimismo: un messaggio in rete ha meno probabilità di raggiungere un destinatario), quel giorno - il giorno del ritorno alla "normalità" - non vorrei esserci perché la rabbia e il dolore per la nuova ondata di ebbrezza mi umilierebbero - come individuo, innanzitutto, e poi come membro di una specie. Non riuscirei a sopportare la sorridente e disinvolta sicumera degli statistici: per me un morto ha lo stesso diritto alla mia pena di mille - e se avesse avuto novant'anni e vari problemi polmonari non lo riterrei meno importante di chiunque altro.
Spero di non averla intristita troppo.
Un caro saluto


Felice Accame





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